Iniziative 2006 Caravaggio. L'Urlo e la Luce Incontro   
Intervista al professor Roberto Filippetti
 
Chi è Caravaggio?
 
Michelangelo Merisi nasce nel borgo di Caravaggio (Bergamo), dal quale prende il nome, nel 1571. Fino al 1592 rimane in Lombardia, luogo in cui avviene la sua formazione. L'esperienza più significativa è senz'altro quella all'interno della bottega di Simone Peterzano, pittore bergamasco di cultura manierista. Merisi trascorre i successivi otto anni a Roma, dove conosce il cardinale Del Monte, prelato molto influente legato a Federico Borromeo e, grazie alla sua intercessione, gli vengono commissionate alcune opere per la cappella Contarelli. In questo periodo egli produce i suoi primi successi, dando inizio ad una crescente fortuna.
 
A partire dal 1600 Caravaggio dipinge quasi esclusivamente soggetti sacri, nei quali emerge chiaramente la sua intenzione di non voler rievocare avvenimenti accaduti milleseicento anni prima, ma di volerli riproporre attualizzandoli negli ambienti della sua epoca: egli riporta il sacro nel quotidiano. La sua celebrità aumenta di giorno in giorno, ma Merisi inizia a farsi conoscere anche per la sua vita sregolata: viene querelato più volte per aggressione, ferisce un agente di custodia, sconta alcuni brevi periodi di galera per porto d'armi abusivo, fino ad arrivare a quel tragico 28 maggio del 1606, giorno in cui si macchia di omicidio. Dopo questi avvenimenti, Caravaggio è costretto a lasciare Roma, ossessionato dalla pena capitale, dai sensi di colpa e da un vivo desiderio di espiazione. Trascorre un anno a Napoli, uno a Malta e, nel tentativo di tornare a Roma, nel 1610, viene arrestato e messo in carcere. Riuscito ad uscire di prigione, muore di malattia in un ospedale di Port'Ercole.
 
Un'esistenza, di certo, non facile, ma in cui non è mai mancata né la ricerca della verità, né l'arte vissuta come dono. Caravaggio è il pittore dell'istante, nel momento in cui il sipario si alza e scopre la scena, è il pittore della mano in-segnante, è il pittore della realtà, ma non nel senso "verista" perché consapevole che la realtà è metafisica: porta con sé, inevitabilmente, un "oltre".

Come è nata la tua passione per Caravaggio?
 
Ho conosciuto Caravaggio al Meeting di Rimini del 1998, quando una mia studentessa, Sara, matricola di lettere in Cattolica, mi ha spiegato una mostra a lui dedicata in modo così commovente che era come se, in quel momento, una figlia mi diventasse madre. Mentre stavo uscendo, un gruppo di amici di Ascoli mi ha bloccato chiedendomi: «Perché non ci spieghi Caravaggio?», ed io: «Conosco poco di lui, potrei spiegarvi solamente quello che mi ha detto, poco fa, la mia amica», e loro: «Basta e avanza!». All'inizio eravamo in quindici; poi altri italiani si sono aggregati e alla fine eravamo in trenta. Fu così che, in quattro pomeriggi, spiegai Caravaggio ben quattordici volte.

Cosa ci può insegnare Caravaggio attraverso la sua vita, la sua pittura e la sua tecnica?
 
Innanzi tutto un contrattacco rispetto a tanto moralismo oggi diffuso, anche tra le fila di certo cattolicesimo, moralismo che chiamo il mondo delle "istruzioni per l'uso", citando Kafka che, infatti, afferma: «Il nostro mondo è pieno di istruzioni per l'uso e povero di miracoli». Caravaggio è veramente un miracolo perché è un delinquente nato, ne ha fatte davvero di tutti i colori, ha anche ucciso. Tuttavia, la sua arte, paradossalmente, è una grande arte cattolica. Marco Bona Castellotti, che guardo come a colui che mi ha spronato ad approfondire l'arte di questo grande uomo, nel suo libro dal titolo Il paradosso di Caravaggio, parla, appunto, del paradosso di un uomo moralmente impresentabile, ma con una mano mai frenata dalla coscienza del proprio male, bensì spesa nella consapevolezza di un grande bene; tutto ciò evidenzia il tipo di sguardo cattolico, lo sguardo ecumenico, lo sguardo valorizzatore, lo sguardo che non sta lì a rammaricarsi per le diecimila cose che non vanno bene, ma è tutto proteso a valorizzare quell'unica cosa buona presente in ogni realtà. Caravaggio mi sembra un eccezionale esempio di sguardo valorizzatore. Mi pare, allo stesso tempo, anche un grande esempio di realismo cristiano, proprio come Giotto lo era stato trecento anni prima.
 
Inoltre, il Merisi, pur ponendo la propria arte al servizio della committenza, rimase, in ogni modo, profondamente radicato nelle diverse sensibilità ecclesiastiche in cui si era imbattuto nella sua vita: l'oratorio filippino, la tradizione di Carlo Borromeo e quella dei frati cappuccini. Quindi, la sua arte, pur essendogli stata commissionata, mantiene i tratti distintivi dell'artista e, tutto ciò, contraddice il "mito" romantico che vuole che l'arte, per essere libera, non debba essere eseguita su committenza.

Caravaggio è entrato a far parte della tua vita in modo così imprevisto e appassionante, che ti ha fatto scrivere anche un libro su di lui...
 
Ho scritto il libro, (Caravaggio - L'urlo e la luce. Ed. Itaca, ndr) tentando di fare con Caravaggio quello che ho fatto con Giotto (Il Vangelo secondo Giotto. Ed. Itaca, monografia di Filippetti dedicata alla Cappella degli Scrovegni di Padova, ndr), cioè sono partito con l'intenzione di adattare una cosa molto alta e nobile, alle capacità di comprensione proprie dei bambini, creando, con questo criterio, una divulgazione accessibile a tutti.

Il libro ha un titolo particolare: "Caravaggio: l'urlo e la luce", perché questo titolo? Urlo e luce sembrano due cose opposte o perlomeno contrastanti...
 
Dunque, innanzi tutto il libro, come suggerisce il sottotitolo, "Una storia in cinque stanze", è suddiviso per tematiche, perché credo che un percorso cronologico sia maggiormente adatto agli storici dell'arte, ma meno per la catechesi o per i bambini. Quindi, propongo una mostra in cinque grandi capitoli non in ordine cronologico, bensì tematico.
 
Dopo la prima stanza, detta delle "Pitture Etiche", segue la seconda, dal titolo "L'urlo": dedicata alla tragicità della vita. I quadri proposti in questa sezione mostrano fortissimi contrasti, sia nelle azioni che nei colori: rosso-nero, bianco-nero, bianco-rosso, vita-morte. Irrompe, quindi, il pensiero della morte in un mondo pieno di "istruzioni per l'uso", come dicevo prima, per una vita che sia il meno peggio possibile.
 
Con il termine "luce" faccio, invece, riferimento alle altre tre stanze: "La madre e il bambino", quindi la luce dell'incarnazione, "Il redentore", la luce di Cristo, e "I testimoni", la luce della Chiesa. Ma, con questo termine, intendo anche richiamare l'attenzione sull'eccezionale utilizzo che Caravaggio fa della luce, una grande novità rispetto all'arte del periodo precedente. L'artista evidenzia particolari che non possono essere tralasciati perché fondamentali: uno zigomo rispetto al resto del volto o, magari, un braccio, una persona nello sfondo, uno sguardo. Quindi, per luce, non intendo la luce della coerenza, la luce di una vita integerrima, ma la luce di un talento messo a frutto con la consapevolezza di donare, e una mendicanza nello sguardo che è una delle cose più commoventi che io abbia mai visto.

Dal particolare all'universale... da Caravaggio all'artista in generale, se così si può dire. Per concludere, puoi tracciare una definizione che sia valida per tutti? Chi è, secondo te, l'artista?
 
E' uno che imita Dio, il grande Lavoratore. Per cui l'artista è uno che lavora. In questo senso, anche la mamma che accudisce i figli è un'artista. Per esserlo basta solamente guardare a quel particolare di realtà che ci circonda ed esprimerlo, realizzando così la propria vocazione di uomini, cioè di creature chiamate ad essere la coscienza della realtà. Inoltre, ma non necessariamente, se uno possiede un talento particolare, lo mette a frutto, creando, in questo modo, un'opera artistica.
Le fotografie si riferiscono all'incontro tenutosi a Melzo (MI)
il 21/10/2006.
L'intervista a Roberto Filippetti è tratta da Rivela Notizie,
periodico d'informazione dell'Associazione Rivela.
[www.rivela.org/giornale/giornalepagina2.htm]

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