Storia di Siena e commissione della Maestà a Duccio
La città di Siena, in epoca etrusca, era un piccolo villaggio con la funzione di collegare i centri costieri, particolarmente fiorenti, a quelli dell'entroterra.
Questa funzione di "passaggio" dell'originario borgo, si mantenne invariata per tutto il periodo romano; solo con l'arrivo dei barbari nell'Italia centrale, la realtà di Siena fu destinata a mutare radicalmente e ad acquisire un ruolo di primaria importanza.
I Longobardi, infatti, al loro arrivo in Italia, avvertirono in modo impellente la necessità di individuare una nuova via, rispetto a quelle romane già esistenti, per percorrere da nord a sud la penisola.
Molte delle grandi vie consolari erano divenute impercorribili per motivi naturali o politici: alcune zone, a seguito dello spostarsi della popolazione per le invasioni dei barbari, erano ritornate ad essere paludose; la manutenzione delle strade non veniva più curata; inoltre alcune strade non potevano essere utilizzate poiché passavano attraverso l'Esarcato, territorio sotto il controllo dei bizantini.
La nuova direttrice di marcia che si inizia a percorrere è, dunque, la cosiddetta "via francigena", la strada che fino in epoca moderna verrà percorsa da tutti i pellegrini del nord Europa diretti a Roma.
Siena e, di poco lontano, San Giminiano si trovano lungo questa via e tale posizione ne favorirà il loro successivo sviluppo.
Accanto al nucleo originario di Siena sorgono infatti due nuovi borghi che si ampliano velocemente e danno origine ad un'unica città: Siena reca ancora oggi le "tracce" topografiche di tale origine essendo divisa in tre parti.
Non a caso, da parte degli storici, si parla di Siena come di "figlia della strada" per sottolineare che il suo sviluppo è stato strettamente collegato con il crescere dell'importanza della "via francigena".
Dopo il Mille, Siena conosce dunque una rapida crescita ed acquisisce proporzioni ragguardevoli tanto da entrare in rotta di collisione con Firenze, l'altra città preminente della Toscana.
In particolare, nel settembre dell'anno 1260, l'esercito fiorentino cinge d'assedio la città e, per toglierlo, pone delle condizioni che praticamente significano la fine di Siena, del suo sviluppo e della sua libertà.
Siena si trova dunque a dover decidere se accettare la resa oppure dichiarare guerra alla città di Firenze, il cui esercito, assai più numeroso di quello senese, avrà con ogni probabilità la meglio in battaglia.
A tal fine i governanti della città si riuniscono per un giorno intero nella Chiesa di San Cristoforo, mentre tutti i cittadini attendono trepidanti, all'esterno di essa, di conoscere la decisione.
E' il 3 settembre 1260: Bonagiunta Lucari ha il compito di informare il popolo della decisione presa dai propri governanti: Siena, nonostante le proprie forze militari siano del tutto imparagonabili a quelle dei fiorentini, non si arrenderà a Firenze, ma, al contrario, si batterà nell'estremo tentativo di salvare la propria libertà.
Tutti i senesi si recano allora nel Duomo per invocare sulla città la protezione della Vergine delle Grazie, raffigurata in un'icona cui i senesi sono anche oggi molto devoti.
Il giorno successivo, contro ogni previsione e del tutto inaspettatamente, l'esercito senese sconfigge duramente quello fiorentino presso Montaperti: è il 4 settembre 1260.
Questa sonora sconfitta è in un certo senso entrata a far parte del "cromosoma" dei fiorentini: si citi, in proposito, il fatto che tutta la Divina Commedia è percorsa dall'eco di questa battaglia, pur essendo Dante nato cinque anni dopo. Anche oggi, del resto, il ricordo della battaglia di Montaperti entra quotidianamente a far parte delle battute e degli slogan delle opposte tifoserie!
Dal settembre del 1260, con la sconfitta dei fiorentini, inizia dunque il momento aureo di Siena, momento interrotto solo dalla pestilenza del 1348 che comporterà una profonda crisi economica in tutta l'Europa.
E' dunque nel suo "momento aureo" che la città assume le forme attuali: in questo periodo vengono infatti edificate tutte le principali costruzioni civili e religiose che ancora oggi abbelliscono la città di Siena.
Significativo, in proposito, osservare che il fiorire di Siena si svolge tutto nel segno della Vergine: il Duomo e l'Ospedale sono dedicati a Maria; la Piazza del Campo ha la forma del mantello della Madonna della Misericordia - come affermano i più insigni storici dell'arte - e lo stesso Palio si corre durante due festività mariane.
In questo contesto, nel 1308, viene commissionata a Duccio di Buoninsegna la realizzazione della celebre Maestà che verrà terminata nel 1311, mentre quasi contemporaneamente, nel 1315, il suo allievo, Simone Martini, dipinge un'altra famosa Maestà conservata nel Palazzo Comunale di Siena.
Duccio nasce prima del 1270 (coetaneo, quindi, di Giotto e di Dante) diventa allievo di Cimabue, con il quale, probabilmente, lavora anche ad Assisi.
Nel 1308, all'epoca della commissione della Maestà, Duccio è, insieme a Giotto, il più grande artista vivente.
E' significativo leggere il contenuto del documento con il quale la Maestà è commissionata all'artista, al fine di apprezzare meglio "cosa" e, si potrebbe dire, "come" si chiede di dipingere.
In tale testo si chiede a Duccio di dipingere "come sa e come Dio gli concede", senza aiuti e senza accettare contemporaneamente altre commissioni.
Inoltre, si vuole che Duccio dipinga in una bottega posta nel centro della città, ben visibile, affinché chiunque, passando, possa vederlo e verificare che egli rispetti le condizioni poste dalla committenza.
Si tratta di richieste alquanto inusuali per l'epoca, legate al fatto che Duccio ha fama di persona non affidabile.
Parimenti straordinario è pure l'emolumento per l'esecuzione dell'opera in questione, pari a 3.000 fiorini, cifra astronomica per quel tempo!
Nel 1311 la Maestà viene solennemente trasferita in Duomo e posta sull'altare maggiore sotto la grande cupola.
Le sue dimensioni - m. 3,70 x 4,50 - e la particolarità di essere dipinta sia frontalmente che sulla parte retrostante, ne fanno un'opera impressionante ed il suo carattere suggestivo è aumentato dalla grande luce che dalla cupola "incendia" il fondo dorato.
Nella parte frontale si trovano le storie relative a Maria mentre in quella posteriore si trovano le storie relative a Cristo.
In epoca rinascimentale, la pala viene spostata presso un altare minore, infine nel 1711 la Maestà viene rimossa e le due parti vengono separate e gettate in una soffitta dell'Opera del Duomo.
Quando, circa un secolo dopo, si cerca di recuperare la Maestà, alcune parti sono ormai andate irrimediabilmente perse anche se alcune storiette sono poi ricomparse in musei stranieri e collezioni private.
La Maestà - Il Prospetto
Duccio dedica integralmente la parte frontale della pala a Maria, come per sottolineare il fatto che la Madonna è la via per arrivare a Cristo e dunque, alla salvezza.
La Vergine indossa un abito rosso e un manto blu che sono i segni della regalità ed è seduta su un trono che pare fatto dello stesso marmo del duomo senese.
La Madonna ha il volto mesto come se presagisse la Passione; con la mano indica il Figlio, ma lo sguardo è rivolto verso di noi perché la Passione di Cristo è per la salvezza dell'uomo.
I due santi più vicini al trono sono
Giovanni Battista, a destra, e
Giovanni Evangelista, a sinistra, raffigurato con in mano l'Apocalisse; accanto a loro ci sono
Pietro e
Paolo, i due pilastri della Chiesa, infine vi sono due sante vergini martiri,
Santa Agnese e
Santa Caterina d'Alessandria, il cui culto era molto diffuso nel medioevo. E' interessante il fatto che proprio due figure femminili chiudano la fila e che la
posizione centrale di Maria la identifica proprio come riferimento ideale della femminilità.
I quattro santi inginocchiati sono i protettori di Siena: non a caso le figure più vicine all'osservatore rappresentano quella parte del popolo senese già nella gloria ad intercedere per noi.
Intorno si assiepano
gli angeli, segno della pace che diventa possibile per il mondo grazie al mistero dell'Incarnazione.
Sopra il trono sono raffigurati gli
altri discepoli, con San Mattia che aveva sostituito Giuda.
San Giacomo, il secondo, è il cugino di Cristo del quale, infatti, ha i medesimi tratti somatici: se Gesù è un uomo deve assomigliare ai suoi parenti!
Sullo scalino del trono, Duccio scrive la frase:
"Madre Santa, sii la vita di Duccio, che ti ha dipinto così bella": si tratta di una scelta innovativa che per altro consente all'autore di "firmare" l'opera.
Sulla predella, intercalate da figure di profeti e di re dell'Antico Testamento, sono raffigurate alcune storie relative all'infanzia di Gesù: nell'ordine troviamo:
l'Annunciazione, il profeta
Isaia,
la Natività, il profeta
Ezechiele,
l'adorazione dei Magi, il re
Salomone, la
presentazione di Gesù al Tempio (in cui Gesù, come farebbe qualsiasi bambino, cerca la mamma con le proprie braccine), il profeta
Malachia, la
strage degli innocenti (ove il dolore delle donne ebree è prefigurazione di quello che patirà Maria), il profeta
Geremia, la
fuga in Egitto (in cui Duccio raffigura sia San Giuseppe dormiente che ricevere dall'Angelo l'ordine di fuggire in Egitto, sia la fuga vera e propria, colta in un momento di dialogo tra Giuseppe e Maria), il profeta
Osea ed infine la
disputa coi dottori nel tempio.
Nel coronamento si trovano le storie della morte della Vergine, la cui fonte non è, come per tutte le altre storie della Maestà, il Nuovo Testamento, ma è apocrifa e si riferisce alla
Legenda Aurea di Jacopo da Varagine.
La prima storia raffigura
l'annuncio a Maria della sua morte: l'angelo le si inginocchia e le consegna la "palma del martirio" perché ha patito la morte del figlio.
Nella seconda storia,
Maria saluta Giovanni, il discepolo prediletto con cui viveva, mentre fuori gli apostoli, che raffigurano l'unità della Chiesa, sono in attesa.
Seguono il
Congedo dagli Apostoli e la storia relativa alla
morte della Vergine. E' da notare, in particolare, l'immagine in cui Cristo riceve in grembo l'anima bambina della Madre: questa storia si trovava originariamente proprio sopra la raffigurazione della Vergine con il bambino in braccio... sembrano davvero riecheggiare i noti versi di Dante:
"Vergine Madre, figlia del Tuo figlio, ...". Infine troviamo
i funerali ed il
seppellimento di Maria.
La Maestà - Il Tergo
La parte posteriore della Maestà è integralmente dedicata alla vita pubblica di Gesù ed alla sua Passione. Le prime storie della predella, andate perse, raffiguravano probabilmente il Battesimo di Gesù e la prima tentazione a cui seguono
la seconda tentazione, quella sul tempio, e
la terza tentazione, quella sul monte, in cui è particolarmente evidente il fascino esercitato dal potere.
Le due storiette successive ci propongono la
vocazione di Pietro e di Andrea ed il miracolo delle
nozze di Cana, in cui Maria e Gesù sono raffigurati con gli stessi abiti (veste rossa e manto blu) per sottolineare la loro comune partecipazione al medesimo avvenimento.
A seguire, Duccio raffigura
l'incontro con la Samaritana e la
guarigione del cieco nato, ritratto nell'atto di buttare le stampelle e poi in quello di lodare Dio, segno della sua guarigione fisica ma anche del rafforzamento della sua fede.
Nelle ultime due storiette della predella, Duccio ci propone l'episodio della
trasfigurazione in cui Cristo è raffigurato con le vesti splendenti del
Risorto e quello della
resurrezione di Lazzaro.
La scelta di questi soggetti da parte dell'Autore non è sicuramente casuale: essi, infatti, ripropongono tutto il cammino della Quaresima e dunque ci introducono alle storiette della Passione rendendo esplicito quel nesso fra arte e liturgia tipico dell'arte medievale.
Lo scomparto centrale ci presenta anzitutto
l'ingresso in Gerusalemme di Gesù, una Gerusalemme che assomiglia molto alla Siena medievale: tutto è in festa, ma già compaiono i segni della passione; vicino al capo di Gesù c'è un cespuglio di rovi, prefigurazione della passione, e la porta dell'orto degli ulivi è già aperta.
Nella storiette successive, Duccio ritrae
l'ultima cena (fermata nel momento in cui Giovanni chiede a Gesù chi lo tradirà), la
lavanda dei piedi (in cui raffigura Pietro che accetta di essere lavato da Gesù), il
mandatum agli Apostoli ed il
patto di Giuda.
Seguono le storiette raffiguranti
l'orazione e la
cattura di Gesù nell'orto degli Ulivi e i tre rinnegamenti di Pietro:
il primo mentre Gesù è davanti al sommo sacerdote Anna,
il secondo mentre Gesù è davanti al sommo sacerdote Caifa che si straccia le vesti, ed infine
il terzo mentre Gesù è percosso.
Le storie della passione di Gesù proseguono ora con le scene del processo:
Gesù davanti a Pilato... che ne
dichiara l'incolpevolezza ai farisei... e
lo rimanda al giudizio di Erode (rappresentato molto piccolo, segno di meschinità)...
Gesù ricondotto da Pilato... che
lo fa flagellare...
coronare di spine... ed infine
si lava le mani e consegna Gesù alla folla che lo conduce via.
Seguono la
salita al Calvario, col bellissimo, muto, dialogo tra Maria e Gesù e la
Crocifissione. La Crocifissione, nell'iconografia medievale, è l'inizio del giudizio universale, infatti la folla è divisa tra chi riconosce Gesù e verso di lui si volge, come il buon ladrone, e chi lo impreca e lo rifiuta, come l'altro ladrone rivolto verso il nulla.
Nelle due storie successive, la
deposizione dalla croce ed il
seppellimento di Cristo, lo stretto legame che unisce la Madonna e Gesù è posto in evidenza attraverso la vicinanza marcata delle guance della Madre con quelle del Figlio.
Nella
discesa al Limbo - Gesù il Sabato Santo scende agli Inferi per liberare Adamo ed Eva, i Patriarchi di Israele e tutti gli uomini nati e morti prima della sua venuta - il Cristo viene rappresentato già nelle fattezze del
Risorto: il suo corpo infatti, (Duccio intende proprio raffigurare un corpo fisico giacché Gesù, secondo il Vangelo, è veramente resuscitato nel proprio corpo) è inondato di luce, la luce della Resurrezione.
Particolarmente significativa è la scena in cui vengono raffigurate
le Marie che si recano al sepolcro, nel mattino della Pasqua, per cospargere di aromi il corpo di Gesù: in questa storietta Gesù è raffigurato seduto sul coperchio del proprio sarcofago in un equilibrio assolutamente innaturale e fisicamente impossibile: se Gesù è risorto allora tutte le leggi fisiche possono essere superate!
Le storie della Passione si concludono con
l'apparizione di Cristo a Maria Maddalena e con l'incontro coi
discepoli di Emmaus; qui Gesù è raffigurato con le vesti del pellegrino perché la sua identità resta misteriosa finché egli stesso non la rivelerà.
Nel coronamento si trovano le storie di Gesù risorto. La prima raffigura
l'apparizione di Gesù a porte chiuse: i discepoli sono dieci perché mancano Giuda e Tommaso; nella seconda storietta -
l'incredulità di Tommaso - Gesù invita il discepolo a mettere il dito nel suo costato e a credere.
Seguono la storietta dell'
apparizione sul lago di Tiberiade, in cui Duccio, oltre alla pesca miracolosa, riprende anche l'episodio di Pietro che cammina sulle acque, e infine a concludere il vangelo di Matteo, la storietta dell'
apparizione sul monte di Galilea.
Nell'
apparizione durante la cena, Gesù vuol far capire ai suoi discepoli che è proprio risorto nel suo corpo, in carne e ossa, e perciò mangia con loro. Da ultimo, a concludere tutto il ciclo delle storiette della Maestà, è raffigurata la
discesa dello Spirito Santo: Maria - che ha lo stesso abito di Cristo inondato di luce - e gli apostoli ricevono lo Spirito Santo, non lo ricevono per loro, ma per il mondo, infatti, sul fondo del cenacolo, la porta è già aperta