Ha lavorato più di 10 anni con Padre Gheddo. Ha girato l’Africa, e non solo. Ha visto e studiato, anzi: continua a guardare e studiare.
Il 30 ottobre
Rodolfo Casadei ha parlato nel salone del Sacro Cuore, aprendo così l’incontro su "
Globalizzazione, sviluppo sostenibile, nuove utopie: dove va il XXI secolo": «Bisogna conoscere la realtà, e poi farsene un’idea: anche la miglior capacità critica si infrange se non parte dal dato di realtà. Ognuno ha simpatie, orientamenti, pregiudizi: é normale, ma é sbagliato non metterli alla prova.»
Scontato? A confrontare quel che ne seguirà con i giudizi più diffusi, pare proprio di no. Infatti, e qui c’é già una sintesi importante, “la globalità che filo-Global e no-Global danno per sottintesa non coincide per nulla con la realtà, è un’astrazione - il risultato dell’approccio ideologico alla realtà”.
Casadei di dati, ufficiali e pertinenti, ne snocciola
in quantità industriale. Qui si può riferirne solo una parte molto piccola. Allora un avviso: chi fosse interessato ad approfondire o verificare, di Rodolfo Casadei può acquistare
Appunti su globalizzazione e dintorni, pubblicato da
Tempi, o anche leggere solamente
Educare la libertà, educare alla libertà – inchiesta pubblicata in occasione del summit Fao di giugno.
La globalizzazione é un processo di unificazione di sistemi distinti e separati non nuovo nella storia. Ai tempi dell’impero romano e di quelli coloniali era altissima, superiore (ma diversa) da quella di tempi più recenti. Fino alla II guerra mondiale le barriere doganali e finanziarie l’hanno ostacolata e solo dopo di essa si é ripresa (Nazioni Unite, sviluppo del commercio e WTO, UE, tecnologia...).
Negli anni ’90 la disponibilità di tecnologie informatiche e di telecomunicazione a basso costo, da una parte, e la fine della guerra fredda, dall’altra, le hanno impresso una accelerazione grandiosa. Ma da un paio d’anni già segna il passo (crisi della new economy, 11 settembre) e la prospettiva é di un rallentamento...
E’ dannosa o utile (in particolare per i poveri)? La sofferenza umana é grande e c’é da chiedersi se si può quantificarla. Gli impegni assunti al vertice FAO del ‘96, il principale dei quali era il dimezzamento degli degli affamati entro il 2015 (cioè passare da 800 a 400 milioni), non stanno andando come auspicato: anziché diminuire di 20 milioni all’anno stanno calando solo di 6 milioni. E sono 10 milioni i bambini che muoiono all’anno, 1.200 milioni le persone che vivono con meno di 1$ al giorno... Ma alcuni altri numeri sono incoraggianti: i malnutriti erano il 50% della popolazione del Terzo mondo nel 1950, il 37% nel 1969-71 e sono scesi al 17% nel triennio 1997-99. La denutrizione infantile riguardava il 46,5% dei bambini sotto i 5 anni nel 1970 ma il 27% nel 2000. Gli abitanti dei paesi poveri assumono in media quasi 2.700 calorie al giorno, contro le appena 1.900 del 1960, e la speranza di vita alla nascita che nel 1900 era di 26 anni (46 nei paesi industrializzati nello stesso anno), ed era diventata di 46 nel 1960 (64 nei paesi ricchi), oggi, nonostante la piaga dell’Aids in Africa, ha raggiunto i 64,5 anni (contro i 78 dei paesi industrializzati). La mortalità infantile sotto i 5 anni è stata più che dimezzata fra il 1960 ed oggi, passando dal 222 per mille al 90 per mille.
Ma, si dice, la diseguaglianza fra i più ricchi e i più poveri sta aumentando: il rapporto fra il reddito del 20% di umanità più povera e il 20% di umanità più ricca era 1 a 30 nel 1960, è salito a 1 a 72 nel 1973 e a 1 a 82 nel 1995. E’ verissimo. Ma non è un effetto della globalizzazione: è una tendenza in atto da quando è nata la moderna economia nel XVIII secolo. Da allora il divario è andato sempre aumentando, e anche la diseguaglianza nella distribuzione del reddito, misurata scientificamente dall’indice Gini. La globalizzazione degli anni ‘90 semmai ha un po’ chiuso la forbice: per la prima volta in oltre due secoli l’indice Gini è sceso di valore, passando da 0,55 a 0,50. Il merito è soprattutto della Cina, dove centinaia di milioni di persone hanno visto aumentare i loro prima bassissimi redditi. Anche su questo argomento bisogna però sfuggire alle trappole ideologiche: nei paesi poveri l’avvento della diseguaglianza reddituale è in realtà una buona notizia, perché segnala un miglioramento complessivo della situazione. Nelle società pre-capitaliste, infatti, c’è poca diseguaglianza perché quasi tutti sono poverissimi.
La realtà della globalizzazione è fatta, come ogni realtà umana, di
luci ed ombre, ma le luci sono molto più numerose e intense di quanto il catastrofismo ideologico e apocalittico dei no-Global riescano a far credere a tanti. Sinteticamente, quasi per slogan:
- non è vero che la globalizzazione ha aumentato il numero degli affamati: lo ha abbassato, anche se più lentamente di quanto desiderato
- non è vero che la globalizzazione ha aumentato il numero dei poveri: l’ha fatto diminuire
- non è vero che la globalizzazione ha peggiorato la qualità della vita nei paesi più poveri: l’ha migliorata
- non è vero che l’apertura dei mercati al commercio internazionale è svantaggiosa per i Paesi in via di sviluppo: quelli di loro che hanno intensificato il commercio con l’estero stanno meglio di quelli che non l’hanno fatto
- non è vero che la presenza delle multinazionali aumenta lo sfruttamento dei lavoratori nel Terzo mondo: al contrario, migliora le loro retribuzioni
- non è vero che la globalizzazione sta deforestando il pianeta: la percentuale di terre boscose sta aumentando e non è vero che l’aria e l’acqua sono più inquinate: lo sono meno di vent’anni fa
- non è vero che il debito estero del Terzo mondo sta esplodendo: quello relativo sta, seppur lentamente, diminuendo.
Governare la globalizzazione? Casadei: “Non faccio discorsi filosofici, che sono molto difficili, tipo governo mondiale (da parte di chi? Con quali strumenti? E come fa a conoscere tutti i bisogni?) ecc. Guardiamo alcuni effetti di esperienze concrete”. I due modelli economici moderni, quello del libero mercato e quello dirigista, non sono nemmeno lontanamente paragonabili: l’economia centrata sul profitto è più abile nel rispondere alla domanda di beni e servizi di quella imperniata su pianificazione centrale e proprietà statale dei mezzi di produzione. Ad esempio: alla vigilia della II Guerra mondiale un cittadino tedesco e uno cecoslovacco avevano lo stesso PIL pro capite, ma alla caduta del Muro di Berlino un cittadino di Monaco aveva un reddito che era il doppio di quello di un cittadino di Praga.
Non c’è dubbio però che la “fede” nei due differenti sistemi ha in comune lo stesso presupposto erroneo. Infatti considerano che la libertà e la coscienza dell’uomo contano poco di fronte al carattere di necessità dei meccanismi del mercato (liberismo), ovvero che contino solo in negativo, per cui la “giustizia economica” si può ottenere solo azzerando la libertà umana (comunismo). Tutti i discorsi, allora, si centrano sulle riforme da apportare al sistema, o sulla necessità di rivoluzionarlo, anziché sull’educazione e sulla valorizzazione della libertà umana. Mille esempi tratti dall’esperienza dei missionari cristiani e dei volontari avvalorano questo punto: è l’educazione dell’umano che rende possibile lo sviluppo. L’annuncio cristiano é stato (anche) il motore dello sviluppo dell’Europa e dell’Occidente (anche se in proposito “oggi gli europei stanno tagliando di lena il ramo che li ha portanti più in alto”, dice Casadei) e ciò si dimostra vero anche nei paesi del Terzo mondo.
Casadei risponde con un apologo all’ultima domanda, presentata sul tema possibilità e condizioni per il governo della globalizzazione. Un apologo, come a indicare che bisogna guardarsi dai miti contemporanei. E cita un missionario Pime della Guinea Bissau: «Alcuni anni fa è venuta qui una équipe di studiosi e sono tornati per due mesi, quattro anni di seguito. Studiavano i bambini, malattie e mortalità. Hanno visitato e studiato i villaggi, facendo inchieste approfondite. Alla fine sono venuti a dirmi: “Abbiamo constatato una cosa bellissima e vogliamo dire grazie alla missione cattolica: nei villaggi pagani muoiono due bambini su tre, nei villaggi cristiani o influenzati dalla scuola e dalle idee cristiane ne muore meno di uno su tre. Voi avete fatto, con scarsi mezzi, una educazione allo sviluppo che vi fa onore”».
Dimenticando la persona anche la remissione del debito, l’aumento dei fondi per lo sviluppo, l’istituzione dei fondi globali, ecc. rischiano di andare incontro al fallimento perché si limitano a elaborare e imporre linee guida “perfette” ma che non partono dal rispetto, dalla valorizzazione della persona, della sua libertà e dei suoi talenti. Non si tratta di una contrapposizione ideologica, ma di proporre la ricchezza delle esperienze nate dalla presenza cristiana come esempi praticabili, con il metodo più semplice, il “vieni e vedi”. E non avere preclusioni circa le strategie “globali”, da esaminare a partire dai dati di realtà... principio col quale Casadei aveva aperta la serata.
Enea Ciocca